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L’inganno della luce

23 lunedì Apr 2018

Posted by sognocrudele in amici, autunno, critica, dabbenaggini, desuetudini, futuro, la vecchia regola, Luigi Pellini, malinconia, Mendicanti d'Autunno, nanetti, nemici, odio, passato, passioni, poesia, racconti, riflessioni a perdere, ritratti a parole, scrittura, sogni, sogni a perdere, sognocrudele

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falena, falene, fuoco, inganno, luce, notte, sole

Le falene sono attratte dalla luce.

Quando ero piccolo me lo ripetevano spesso. Nelle serate estive sentivo tamburellare sui vetri delle finestre una moltitudine di fiocchi di neve grigi e bianchi. Falene.
Era come se la notte allungasse una mano per testare delicatamente con le sue dita il calore del vetro, il fuco della luce.

Era un tocco leggero, ciclico. Lo sciabordio di piccole onde del mare che si frantumano sul bagnasciuga.

Qualche insetto restava aggrappato alla solida trasparenza della finestra per scandagliare l’interno della stanza con imperscrutabili bilie nere. Il tutto durava qualche minuto appena, il tempo di un caffè, di uno scambio di battute. Dopodiché l’oscurità li risucchiava per risputarne altri.

Dopo un po’ che me ne stavo lì a fantasticare su quello spettacolo, di solito mi si avvicinava mio padre, e diceva “Le falene sono attratte dalla luce”.

Così, nel mio immaginario, ad ogni alba vi erano legioni di quelle creature che come tanti Icaro kamikaze volavano verso la luce più grande, più calda e più potente di tutte: il sole.
Milioni di puntini grigi che bucavano il cielo, lasciandosi l’orizzonte alle spalle, decisi a bruciare come fiammiferi guidati da una gravità ossessiva, da un imperativo scritto dalle mani di Dio con l’inchiostro della natura, raggiungere
la luce
la luce
la luce
la luce
la luce
la luce
la luce
la luce
la luce.

Va da sé che non è così che succede ad ogni alba. Le falene non cercano di sfondare l’atmosfera per ricongiungersi col sole. Questo l’ho imparato.

Nella sala ho due finestre, una ad ovest e l’altra ad est. Nelle notti più calde lascio sempre aperta quella ad ovest. Mi piace lo spettacolo del tramonto che incendia le vecchie case che riposano in cerchio attorno al cortile. É profondamente drammatico, e malinconico. La morte del giorno.

Anche se accosto le persiane, di tanto in tanto qualche farfalla notturna riesce ad entrare. Non amo gli insetti, per questo motivo di solito mi costringo a continuare a scrivere, o leggere, e dopo un po’ me ne dimentico, come fanno le persone con i gesti sgarbati degli sconosciuti.

Tempo.

E poi ripasso davanti alla seconda finestra, quella che guarda ad est. Ed ogni volta trovo i resti delle falene.
Morte.
Potrebbero uscire tranquillamente da dove sono entrate, alle loro spalle. Ma rieccola la gravità, l’imperativo a cui è impossibile sfuggire, la trappola del desiderio.

Ostinatamente si ritrovano a sbattere contro il vetro, cercando la salvezza tra le fauci dell’alba, nella fornace del sole, incollate al loro destino. Convinte che andare in direzione della luce significasse vita, quando vita era restare nelle tenebre.

La luce nasconde l’oscurità.

Il suo inganno consiste in questo, mostrare una strada occultando tutte le altre.

Diffido sempre di chi mostra le luce.

L.

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Per leggere un paio di racconti:

É andata via l’estate

Non è amore

Se volete leggere qualche recensione dei Mendicanti su internet, le trovate qui:
Twinsbookslovers
Goodreads
La Kate dei libri
Liberamente

Pelle di Lupo

09 venerdì Set 2016

Posted by sognocrudele in amazon, autunno, dbooks libro, desuetudini, ebook, illustrazioni, la vecchia regola, Luigi Pellini, malinconia, Mendicanti d'Autunno, nanetti, nemici, odio, passato, racconti, ritratti a parole, romanzi, scrittura, sogni, sogni a perdere, sognocrudele

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bosco, cicatrice, fiaba, malinconia, notte, pelle di lupo, tempesta, vento

porte_di_nebbia_by_entropiazero-d93azbc
Quello che segue è un estratto del mio racconto “Pelle di Lupo”. Non è uno di quelli che riscuote più consensi ma è certamente uno dei miei preferiti. Una fiaba fuggita dal bosco che al bosco ritorna, svuotata.
Masticata,
consunta,
stanca,
caduca,
fragile.
Sopravvissuta alle cose, ai fatti del mondo. Una foglia secca incendiata dalla notte.

PELLE DI LUPO

Sally allungò le braccia, delicatamente.
I polpastrelli indagarono con timidezza infantile la superficie fredda della finestra scivolando sul vetro senza produrre alcun rumore.
Si stupì di quella carezza incolore, soffocandola poco prima che si contaminasse con il legno.
Dispiegò i palmi come vele morbide, premendoli senza forza sulla pelle gelida della finestra. Per un istante si scambiarono il calore, con la stessa intimità di due amanti che si sussurrano parole segrete nel cuore della notte; poi, senza poterlo evitare, divorò con il clima del suo corpo la trasparenza sottile del vetro, che andò offuscandosi lentamente in una patina di nebbia umida.
Fuori, inarrestabile, rumoreggiava la tempesta.
Il vento era ovunque, partorito dal ventre buio della sera, dalle profondità tumultuose del cielo. Era un serpente smisurato, eretto da impalpabilità nere e gelide che assediavano il piccolo paese. Si faceva strada con violenza, sfrondando i labirinti di rami autunnali intorno alle case.
Al suo strisciare gli alberi si piegavano, addomesticati, rapiti; estatici ballerini che ondeggiavano annegati in un murmure oscuro.
Un cupo lamento riverberava nelle strade, sferzando i battenti sbrigliati, volteggiando sui coppi per ripiegare nelle arcate che non fossero protette da solide porte, e anche quelle tremavano al suo passaggio come cuccioli nella neve.
Di tanto in tanto un bagliore esplodeva nel cielo, disegnando tra le nubi volti austeri e foschi di antichi Dei.

[…]

L’odore delle sigarette nauseava Sally, inquinava i suoi pensieri, intossicava i suoi vestiti. Quando smetterai con quelle cose, mamma? Le disse senza gentilezza nella voce, mentre spingeva la sedia a rotelle verso il tavolo della cucina.
Dovresti coprire quella vergogna invece che occuparti delle mie sigarette, le rispose la madre, strattonandola per i polsi. Dovresti seppellire quelle cicatrici il più a fondo possibile.
Sally tirò istintivamente le maniche, dilatandole fino ai pollici, nascondendo le due profonde cicatrici verticali che imbrattavano del colore del peccato i suoi polsi.
Io esco, mamma.
Vai a fare la puttana? Le chiese lei.
No. Rispose Sally. Questa sera esco e basta. Concluse, sbattendo la porta dietro di sé.

L.

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Il passo della notte

13 venerdì Feb 2015

Posted by sognocrudele in amazon, autunno, dabbenaggini, illustrazioni, la vecchia regola, Luigi Pellini, malinconia, Mendicanti d'Autunno, nanetti, poesia, riflessioni, riflessioni a perdere, ritratti a parole, scrittura, sogni, sogni a perdere, sognocrudele

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come entra la notte, luigi pellini, notte, poesia

Come fa ad entrare?
Come supera le porte chiuse, le finestre sprangate, i muri spessi, e le altre case a ridosso della mia, che si ergono come tante barricate, come fa la notte ad entrare?
Come fa a passare?
Chi le ha consegnato le chiavi del mondo? Chi le ha insegnato a scassinare?
Il freddo oltrepassa i muri come uno spettro, è dagli spettri che ha ereditato il suo passo sottile?
Ho provato a tenerla fuori con le porte chiuse e le finestre sprangate.
Come fa ad entrare?

Poi ho compreso.
La notte non entra.
La notte è sempre stata qui.
É la luce che viene da lontano.

L.

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Day ToHorror

17 lunedì Nov 2014

Posted by sognocrudele in autunno, critica letteraria, futuro, Uncategorized

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campanello, cinesi, esperienza, hall, hotel, luigi pellini, mendicanti d'autunno, notte, presentazione libro, puttane, tohorror

Un piccolo e parziale resoconto della mia presenza al Torino Horror Film Fest, dove ho presentato (velocemente e senza vittime) il libro.

Giorno 1

Hotel due stelle, cinese. Sin Ti Ah. Ma lui, Cheung, lo chiama Cinzia. Quando arrivo alle 23.00, fuori è pieno di puttane. Un esercito in giarrettiera e chiappe al vento che si fanno pizzicare il culo dal freddo dell’autunno. Due di loro entrano nella Hall, che nella fattispecie è un ristorante Cinese, e una dice – Cheung, amore mio -. Cheung sorride e gli prepara due caffè, e io penso che forse quello è un albergo a ore, e cazzo dovevo portarmi tuta da sub per le coperte e tappi per le orecchie.
Niente albergo ad ore, ma il posto è comunque un cesso. Sembra l’hotel di Shining nella versione da due stelle. Poi guardo fuori dalla finestra, e l’insegna al neon con i caratteri orientali mi ricorda le Chungking Mansions di Hong Kong Express, e allora l’Universo si riallinea e finalmente posso dormire.

image

Giorno 2

Cheung del Sin TI Ah Hotel dice che chiude a mezzanotte. Come nelle fiabe la saracinesca della Hall, che è soprattutto un ristorante cinese, scenderà al dodicesimo rintocco. Niente proroghe e niente sconti. Aggiunge di non preoccuparci, perché nascosto nel muro c’è un piccolo bottone nero collegato direttamente al suo cervello. – schiacciate il bottone nero e vi aprirò.- annuncia. – nero, non bianco! Bottone nero!-. E cazzo, quando sono le 4 del mattino ed è ora di rientrare, ci sono veramente due pulsanti Black&White, la versione orientale di matrix. La voglia di pigiare quello bianco è forte, ma l’equilibrio delle cose si basa su prove come questa, sulla fiducia Cheung-ospite. Scegliamo il nero. Un suono lugubre e squillante risuona nel palazzo come una scossa elettrica. Un secondo e la porta si apre. Bravo Cheung! Poi lo vediamo con un materassino di fortuna dormire nel gabbiotto. La sirena del campanello puntata come una baionetta sulla sua testa. ( Hai bestemmiato in cinese Cheung? Perché io non ti ho sentito) Ci saluta e ci augura buona notte, anche se della notte è rimasto ben poco. Alle nove e mezza lo ritroveremo nella Hall-ristorante-cinese a preparare caffè. Cheung che è scappato dalla Cina per non vivere come uno schiavo, e adesso si gode il suo turno otto-mezzanotte, e mezzanotte otto su di un materasso di fortuna, con un campanello che gli strilla direttamente nel cervello.

L.

image

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La bestia: poesia.

23 mercoledì Lug 2014

Posted by Vera Q. in 2017 A.D., amici, comunicazioni, disclaimer, Io sono morto, L'Altro, La bestia, La scatola di cioccolatini di Silvia (e di altre crudeltà), malinconia, poesia, presenta, riflessioni, riflessioni a perdere, ritratti a parole

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2017 A.D., amazon, ebook, Io sono morto, L'Altro, La bestia, La scatola di cioccolatini di Silvia... (e di altre crudeltà), noir, notte, racconti, riflessioni, romanzi, Vera Q.

In occasione dell’uscita del mio nuovo libercolo, La bestia, ho indetto un piccolo contest per poeti: creare una poesia a tema, da inserire nell’ebook, basandosi solo sul titolo del racconto.
Colgo l’occasione per ringraziare tutti i partecipanti e per mostrarvi la loro fantasia.
Un grosso, ma proprio grosso abbraccio a tutti: siete unici.

La poesia scelta è di Pellegrino Dormiente.

Trangugia avida
I rimasugli
Della mia umanità

Rido fiero
A tal guisa
L’ho cresciuta

Ed ecco tutte le poesie:

Stanca di girovagar per cimiteri silenziosi
la bestia trova riparo nel mio cuore.
Piccolo enorme spazio ferito da umane intenzioni.
Non ho timore di lei, ma di quel che è stato.

Sabrina Magnani

——————————————-

Dentro di noi, è lì che si cela.
In ognuno, è lì che vive.
La senti cantare ogni tanto,
ragionare con te, e di te nutrirsi.
Fa che i tuoi sogni si trasformino in incubi,
e gli affetti in nemici mortali,
che la luce divenga buio, il buio terrore, il terrore morte,
il mondo e le genti che diventino malevoli avversari.
Come la tarma nel tenero legno,
scava in te profonde ferite,
a seminar i suoi frutti amari.
Che l’amor diventi odio,
le passioni infami desideri,
il giusto l’ingiusto.
Questo fa ciò che tu sfami,
quel bruto a cui non ti occulti:
la bestia che è in te e in tutti noi.
E di cui, spesso, ci nutriamo.

Claudio Mattiello

——————————————
Chi mai potrebbe amare una Bestia?

Questa felicità
non può durare,
l’ho avvertito sin
dal primo istante.

E’ un mare,
un ondata che viene
e poi scappa
e poi torna
e mi lascia completamente
in balia del suo moto…

Non riesco a fermarla.
Non riesco a gestirla
e la verità, l’unica verità
è che voglio restare ferma sul mio scoglio
a farmi lambire.

Tu sei la mia Belle
e io sono la Bestia.

Non certo la tua
ma piuttosto,
la Bestia di tutti.

Sono rinchiusa in un castello maledetto
senza vie di uscita
senza mobilio parlante:
sola
con il mio dolore.

Ogni volta
che arrivo a fare un patto
interiore
con me stessa,
quando decido che ormai è tempo
di lasciarti andare
(perchè è così che si fa quando si ama)
tu ritorni.

Ritorna qualcosa:
un’ eco
un profumo
un illusione.

Mia dolce, dolce
Belle
non c’è nome che avrebbe
potuto render meglio l’idea
della tua anima…

Avresti potuto spezzare l’incantesimo
con un bacio?

Credo che nessuno,
riesca a vedere nei tuoi occhi
quello che io vedo da così lontano,
questo specchio è la mia dannazione.

Mi mostra tutto ciò che nella realtà
ho potuto solo scorgere, e quando sorridi
il mio cuore va in frantumi
tanto in fretta che non potrei nemmeno contarli.

Nessuna rosa incantata a scandire il mio
tempo.
E’ una maledizione che porto addosso
da troppo.

Posso solo sognar (ti)
di balli
e carezze
e di riascoltare la tua voce.

Resterò a guardarti,
la mia servitù è la mia tristezza,
all’interno di queste mura piove sempre
e la luce riesce solo a filtrare.

Resterò a distanza,
lasciandoti libera di essere felice
perchè è una storia vecchia come il mondo:
chi mai potrebbe amare, una Bestia?

Ebe Juventas

—————————————

Animale di classe sopraffina;
scruta, osserva, valuta la distanza della sua vittima;
SCATTA
Una corsa a perdifiato finché non agguanta
LA SUA PREDA
Quando sarete tra le sue fauci Il vostro cuore avrà smesso si battere.
Da calma…a bestia selvatica…
IL PASSO E` BREVE!!

Valentina Sita

—————————————-

Lei dorme.
Abita luoghi che non ami
bui
e inospitali.
Sopita da secoli in
te
improvvisamente
arriva.

Roberto Salvato

—————————————–

    Bramosa
    arriva
    la bestia.
    Arriva.
    Nel giorno di sole.
    Arriva.
    Nella notte di luna.
    Ha fame.
    Mai paga
    di lacrime
    di umori
    di sangue.
    Sale
    impugna
    ventre
    cuore.
    Lascia
    sconquasso
    brandelli.
    Sparisce.

Maria R. Orlando

—————————————

La caccia è in corso
 – schiavo delle mie pulsioni mi inebrio del profumo dolciastro del sangue –
l’estasi acceca il senso di colpa
 – sopprimendo dubbi e incertezze affondo i denti nelle sue carni –

marco sere

————————————-

Respira.
Nell’aria affonda i denti,
lo stimolo bramante:
il sangue è vicino.

Scatta.
Le armi affilate;
la gabbia ormai lontana,
lo sguardo sulla preda.

Cala la notte, il vento si alza.
E fugge, e trema,
e invano si nasconde.

Le speranze son tradite.
L’altare ormai è pronto:
il colpo, ultimo, vibra.

Elisa Friguglietti – Ladro Steiner

————————————–

mi rode
mi inquieta
mi scuote
mi riempie la mente
ti odio
fremo nel dirtelo
nel pensarlo
proprio non mi piaci così
sei antipatica
arrogante e presuntuosa
ti morderei
ti stringerei i polsi
fino a farti male
la tua testa reclinata indietro
tirata per i capelli
ti strapperei i vestiti di dosso
morderti i capezzoli
oscenamente turgidi
il tuo corpo mi sfida ma non cedo
ti strigo i seni e cerco
di affondare il mio odio tra di essi
non mi sfuggi
blocco le tue grida con baci profondi
le tue gambe contro le mie
il profumo del tuo sesso
contro il mio
furente e violento
ti odio
stronza
puttana
la mia troia
sentilo
stringilo
avviluppalo
bagnalo
scuotilo
spremilo
esplodilo dentro te
ti voglio riempire fino all’orgasmo
innalzarti fino al paradiso
per farti godere
dell’inferno
del mio inferno
dove tu sei la fiamma
cocente di passione.
TI ODIO
TI AMO

Vittorio Paolo Fasciani

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Affamata è la notte

11 venerdì Gen 2013

Posted by sognocrudele in amici, autunno, dabbenaggini, futuro, illustrazioni, la vecchia regola, malinconia, nanetti, nemici, odio, passato, passioni, riflessioni, riflessioni a perdere, ritratti a parole, scrittura, sogni, sogni a perdere, sognocrudele

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anima, autunno, muro, notte

neve_villa

Se lo chiedo a te, è perché penso che siamo uguali.

Non uguali come due gemelli, sia chiaro. So benissimo che non ci somigliamo per niente. Intendo uguali come cristalli di neve; forme diverse, complicati allo stesso modo.
Viviamo dietro un muro, nascosti nei corpi, nascosti nelle parole, nascosti nelle abitudini, nascosti nei sogni, nelle consuetudini, arenati sugli scogli del quotidiano, al riparo all’ombra di tutte le pareti che abbiamo costruito con gli anni, negli anni.
Tu la senti?
E’ una bestia che ha sempre fame, che mastica senza sosta la felicità macinando dolore.
Verrebbe facile da dire: con tutti quei muri non resterai seppellito? Non è forse un modo per uscire da tutte quelle macerie che stai cercando da me?

Proprio perché siamo uguali sai che non è così, le macerie non sono mai abbastanza.
Quanto deve essere alto un muro per riuscire a fermare la notte?  

L.

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Occhi di fuoco

29 giovedì Nov 2012

Posted by sognocrudele in amici, autunno, dabbenaggini, futuro, la vecchia regola, malinconia, nanetti, nemici, odio, passato, passioni, scrittura, sogni, sogni a perdere, sognocrudele

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bosco, bramito, cervo, notte, occhi di fuoco, racconti, racconti brevi

La luna non lo avrebbe protetto.
Anche se nella boscaglia si sentiva al sicuro, prima o poi sarebbe dovuto scendere verso la grande acqua, dove l’erba era più tenera, dove i suoi fratelli e le sue sorelle andavano ogni notte, seguendo disciplinatamente il passo delle madri.
Una volpe gli passò accanto.
Tutt’intorno pulsava un silenzio denso di vita. Fruscii, respiri smorzati, frullare d’ali. Un uccello notturno scandagliava nel buio nella speranza di avvistare un sollievo per i suoi appetiti.
Annusò l’aria in cerca del branco.
Percepì l’odore della femmina che si era curata di lui quando occhi di fuoco aveva ucciso sua madre. Ogni volta che tardava, lei lo aspettava in coda al gruppo, pazientemente. Lo faceva per dargli coraggio, percepiva il suo terrore nello scendere verso la grande acqua e attraversare il territorio di caccia di occhi di fuoco.
Occhi di fuoco si era preso anche il suo cucciolo, ora era lui il suo cucciolo.
La luna brulicava nel cielo, formicolando attraverso i rami scrollati dal vento come una cosa viva, potente. Ma lui sapeva che non era così, che anche quella era una illusione. Alla luna non importava nulla di loro, delle loro esistenze. Vegliava sui loro passi, diradando l’oscurità, ma non annunciava mai il disastro. Non prendeva mai parte alla tragedia con un bramito, un gemito, un lampo di dolore. Era testimone, nello stesso modo in cui sono testimoni i sassi.

Con lo zoccolo picchiò contro la corteccia di un castagno, cercando di aprire una breccia. Forse per quella sera poteva sfamarsi solo di quello, come avveniva durante l’inverno.
Masticò un po’ di corteccia, non aveva un buon sapore. Se avesse continuato così nei giorni a venire, all’arrivo della prima neve sarebbe morto.
Doveva scendere, lo sapeva. Gli altri cervi non lo avrebbero aspettato, e arrivare alla grande acqua da solo sarebbe stato ancora più duro. Con i palchi vellutati si fece spazio tra i rami, pestando con forza gli zoccoli sul terreno per farsi sentire dalla sua altra madre, per farle sapere che doveva pazientare, che sarebbe arrivato.

Anche la notte in cui Occhi di fuoco aveva assassinato sua madre, quella vera, la luna era appesa nel cielo come un piccolo sole pallido. Questo pensiero gli fece venire un brivido di terrore.
Tutto quello che sapeva, tutto quello che gli avevano insegnato, tutto quella che era, non era servito a nulla. Occhi di fuoco non era un comune predatore. Occhi di fuoco aveva qualcosa di soprannaturale, qualcosa che andava oltre il loro mondo.
Ad Occhi di fuoco non interessava mangiare, ad Occhi di fuoco piaceva solo uccidere.
La notte in cui sua madre morì, lo aveva lasciato indietro, era appena un cucciolo. Lei aveva preferito andare in avanscoperta per controllare che non ci fossero pericoli. Tutto era come sempre, tranquillo. Lui la osservava da dietro un cespuglio, mentre la luna esaltava con la sua luce la linea elegante di quella sagoma fulva.
Era bellissima.
La sua morte durò meno di un istante.
Dalle tenebre emerse un ruggito, lunghissimo, senza fine. Come se la creatura che lo aveva emesso avesse polmoni grandi come il mondo, come se quel mostro non avesse bisogno di respirare. Non ci fu il tempo di capire da dove veniva. Subito dopo apparve Occhi di fuoco. Gigantesco, molto più grande di un cinghiale o di un orso. Immenso. Piantò quei suoi occhi fiammeggianti su sua madre lanciandole così il suo incantesimo. Ci fu un urlo, il suo grido di battaglia prima di colpire. Era come quello di un aquila, di un rapace, ma molto più acuto e potente. Più intenso. Più agghiacciante.
In un battito di ciglia se la portò via.
La carcassa di sua madre era ancora lì da qualche parte. Occhi di fuoco non l’aveva divorata, si era limitato a farla a pezzi.

Tutti avevano paura di Occhi di fuoco, ma chi non lo aveva incontrato non poteva immaginare cosa significasse fronteggiare una creatura con gli occhi di fiamma. Due cavità vuote e brucianti pronte a divorare ogni vita.

La sua altra madre lo stava aspettando appena dopo la terra nera, dove il bosco era finito e la terra era pianeggiante.
Si voltò per fargli coraggio, poi svanì oltre lo sguardo. Tutti gli altri già stavano bevendo nella grande acqua e mangiando l’erba verde e fresca.
Se fosse tornato indietro, se fosse fuggito, anche la sua altra madre non l’avrebbe voluto più.
Timidamente balzò in avanti. Si guardò intorno, spaventato. Doveva correre, doveva procedere, andare oltre. La luna lo fissava, indifferente.
Le ginocchia tremarono, Occhi di fuoco era lì.
Fece appena in tempo sentire il suo ringhio senza fine, piegò la testa alla sua sinistra. Due occhi incendiati lo scontornarono nell’oscurità. Il suo cuore scalciava così forte che presto il suo petto sarebbe esploso. Doveva scappare, doveva correre. Nessuno corre più veloce di un cervo, nessuno può raggiungerlo una volta entrato nella boscaglia. Ma l’incantesimo era già su di lui. Le zampe non si mossero, il corpo non si mosse. Poté solo fissare ebete Occhi di fuoco che già gli era addosso.
L’ultima cosa che sentì fu quel grido atroce, quello strillo che ghiacciava il sangue nelle vene, poi la luna prese a vorticargli intorno prima di cadere a terra e non essere più. Credette di vedere l’altra madre, disperata, che aspettava il suo altro figlio che non sarebbe arrivato più. Ma anche quella era una illusione, anche quello era un sogno, lui era morto, e tutt’intorno c’era solo la notte.
Occhi di fuoco emise un altro lungo, interminabile ringhio.

Cazzo! urlò l’uomo uscendo dalla sua macchina distrutta. Cazzo di un cazzo di un cazzo maledettissimo! Con la manica si ripulì un fiotto di sangue che gli ruscellava dal naso. Avanzò di qualche metro, ondeggiando timidamente in direzione del cervo morto. Gli lanciò una occhiata ostile, priva di compassione. Cervo di merda, gridò. Mi hai distrutto la mia fottutissima macchina.
Imprecò di nuovo, e più forte. Che Dio ti stramaledica! L’uomo si abbandonò ad un pianto singhiozzante, disperato. Avrebbe voluto che qualcuno lo sentisse. Ma non interessava a nessuno, nemmeno alla luna.
Una volpe gli passò accanto, invisibile, un pasto servito la stava aspettando.

L.

 

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