Cuore di Tenebra/Brando è rimasto incastrato negli artigli dell’orrore nel momento stesso in cui ha iniziato a vedere il mondo per ciò che realmente è. L’orrore lo ha intrappolato nella sua spirale edace che come un mulinello d’acqua lo ha risucchiato nei fondali della follia, annegandolo nel polmone insano di una foresta che respira uomini e li trasforma in mostri. Poesia e brutalità diventano ballerini di tango che mettono in scena la natura molteplice dell’anima, danzando inarrestabili sui teschi vuoti dell’umanità. L’orrore.
Molto più vicino a noi, nel bosco solido di palazzi e asfalto che è Torino, sta per cominciare il ToHorror film fest. Dal 7 al 10 ottobre. Quest’anno ci sarò anche io, in veste di giurato per la sezione sceneggiature.
Pensami.
Sarò la tegola sulla tua testa.
Sarò il tombino aperto nella notte.
Sarò il chirurgo con la finta laurea.
Sarò il fulmine che non crede nella statistica.
Sarò il filo scoperto dell’abete natalizio.
Sarò il tuo cuore senza un battito, o il battito impazzito.
Pensami, mentre il pilota dice che state atterrando, ma intorno a te vedi solo montagne.
Pensami, mentre raccogli uno splendido fiore nella bocca di un alveare.
Pensami, perché anche io ti penserò, e raramente dimentico.
Vera Q.
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Imprigionati in uno schematico garbuglio intrecciamo l’oggi per comporre il domani.
Curvi, con le dita consunte, impiliamo labirinti. Gabbie.
E in questo ruzzolare di giorni uguali è così complicato discernere passato da presente!
Ma il Mondo, amico mio, funziona soltanto se ognuno fa la sua parte.
E se hai davvero compreso questo concetto, non devi fare altro che chiedere, ed io ti indicheró da quale parte è il cimitero.
Vera Q.
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Capisco che non possa piacere. (e a me è piaciuto parecchio) Ma chi si lamenta della mancanza di trama di Mad Max Fury Road non ha compreso una cosa:
Lo sceneggiatore di Miller è la benzina. E la benzina non ha tempo per intrecci, dialoghi in punta di fioretto, o pompose storie d’amore. La benzina brucia, e manda il cervello su di giri, prendendo a sberle gli occhi fino alla vertigine.
Per questi motivi Mad Max Fury road non è un film, è una dannata apocalisse di fuoco.
1 – Quello che Jason fa con un machete, io lo faccio con un tagliaunghie. 2 – Se fossi salita sul Titanic sarebbe affondato prima. 3 – In Deep Impact, io ero la cometa. 4 – Per uccidere Sarah Connor hanno mandato Terminator, per uccidere Terminator hanno mandato me. 5 – In Jurassic Park mangiavo la gente. 7 – Thelma e Louise avevano un mio santino sul cruscotto. 8 – Se Pretty Woman lo avessi girato io, sarebbe finito con Richard Gere sporco di rossetto a piangere davanti ad uno specchio con su scritto: “Benvenuto nell’AIDS”. 9 – Ne “La fabbrica di cioccolato”, quello non era cioccolato. 10 – In “A spasso con Daisy”, io l’avrei scarrozzata col carro funebre. (Non si sa mai)
E se non ti sei accorto/a che manca il punto 6, non crucciarti: è colpa mia.
Non so contare.
Vera Q.
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Quello che non dovete fare, è pensare che Mood Indigo sia un altro Favoloso mondo di Amelie.
In Mood Indigo la metafora è il linguaggio, il codice su cui è fondato il film. Non è una storia di personaggi trasognanti che sovrappongono agli spigoli della realtà le linee morbide del sogno.
Non ci sono scogli di normalità a cui aggrapparsi.
La pellicola è un flusso senza fine di invenzioni visive, fantasiose, surreali, che all’inizio sembrano divertire tutti, ma che allo spettatore poco incline all’agilità mentale, alla lunga possono disturbare, saturare, nauseare, intasare la mente nella continua ricerca della traduzione.
Tutti quelli che hanno dimestichezza con il linguaggio onirico si troveranno a casa, ma comunque non ci staranno bene, perché
Quello che non dovete fare, è pensare che Mood Indigo sia una pellicola dolce e malinconica, triste magari, dove l’asperità del dolore e del quotidiano sono attenuate dalle continue proposte immaginifiche ed allegoriche, perché sarebbe falso. Mood Indigo, la schiuma dei giorni, è un film amaro. “Le cose cambiano” dice il protagonista, “Le persone rimangono sempre le stesse”, e così è. I sentimenti, il dolore, gli umori, si rivelano all’esterno, nel mondo, mentre i personaggi rimangono inchiodati nei loro binari, apparentemente poco empatici, poco emozionati, poco vivi, quasi delle creature meccaniche.
Quello che non dovete fare, è continuare a leggere, perché se non lo avete già visto, potreste scoprire qualcosa del finale.
Infatti è nel finale che il film si toglie la maschera, rivela la sua anima, mostra il suo volto cupo, amaro.
Chloé ha una ninfea nel polmone, e se per certi versi questa cosa può apparire poetica, nella traduzione dalla metafora Chloé sta morendo, soffre, e il costo di quella sofferenza prosciuga le vite di chi le sta intorno, di chi la ama, prosciuga ogni gioia, ogni luce, e tutto comincia a marcire. Il dramma di chi deve convivere con la malattia si consuma e consuma tutto, anche l’ostinazione di un amore adolescenziale. I fiori appassiscono sul corpo di Chloé, e anche questa immagine è una visione di morte, macabra, di una donna ammalata che distesa nel suo sudario di sofferenza si circonda di fiori secchi, come una tomba abbandonata.
La schiuma dei giorni è come un’onda che si schianta sulla spiaggia, mettendo tutto in moto, in movimento, in subbuglio, saturando gli occhi con il suo flusso, e che poi lentamente si ritira, inafferrabile, lasciando dietro di sé solo la spuma, il silenzio, l’immoto, e la certezza che quell’onda non rivivrà mai più, respiro consumato del mare.
Esiste solo il presente.
Non c’è nessun consolante paradiso, la vita ci sfugge rapidamente dalle dita, precipita inesorabilmente verso il silenzio, e tutto quello che possiamo fare è vivere l’adesso, per poi aggrapparci ai ricordi e galleggiare fino a quando tutto quello che siamo stati non svanirà per sempre.
Anche se un po’ in ritardo, faccio i miei migliori auguri all’amico Andrea K. Lanza (con cui collaboro per il progetto malastrana e malastranavhs) per l’uscita in edicola di una rivista focalizzata sul genere horror, It’s Horror time, che porta, tra gli altri, la sua firma su diversi articoli.
world war z, Romero in salsa Disney. Più che morsi e smembramenti questi zombie reclutano con baci a stampo e carezzine. Corrono, sì, ma per la vergogna.
Tappeto rosso, sguardi estatici, flash che incendiano la notte, tutto per lei, il cinema, la gran signora. Gli atomi che la descrivono sono imbanditi su di una tavola periodica che ha come suo primo elemento il dollaro, e da uno a un milione c’è poca differenza, perché il denaro è la sua benzina, il suo sangue, le ossa su cui sono modellate le sue curve perfette. Non guardatela con diniego, la gran signora, perché i soldi sono l’erba verde su cui vengono a brucare gli artisti, gli scenografi, gli scrittori, i sognatori, gli ingegneri, i fotografi, i fannulloni, gli eccentrici di ogni angolo sperduto del mondo in cerca di successo. Su quelle forme rigorosamente false, ci si sono allattati Hitchcock, Brando, Welles e Chuck Norris con la stessa fame, la stessa forza. E se pensate che sono tutti venduti tranne il vostro mito, che è l’unico che si è fatto una cavalcata per la gloria, non fatevene una colpa, è così la gran signora, quando racconta una balla, impossibile non darle retta, perché lei ha una faccia per ogni specchio e uno specchio per ogni allodola.
E’ magnetica, è sporca, è sofisticata, è alternativa, è convenzionale, è onirica, è volgare, è come tu mi vuoi. Ce n’è per tutti i gusti, per tutti gli stomaci e i palati. Le cellule che la rendono viva e scalpitante si chiamano stelle, perché come le stelle sono splendenti e inarrivabili, e come le stelle a loro tocca il firmamento, e a noi alzare il capo verso l’alto per ammirarle, come tante vacche che guardano incantante i treni di celluloide nei quali sono incastonate.
Eccola, la gran signora, e proprio quando ci si convince che è tutta guardare ma non toccare, che ci si può fare un giro solo con gli occhi, la vediamo uscire di soppiatto dalla porta di servizio del bottegaio, la vediamo farsi corteggiare dalla pubblicità, la vediamo sorridere compiaciuta al rosa antico di un prosciutto, al grigio metallico di una automobile, con la faccia stanca di Harrison Ford, con la parlata incerta di Dustin Hoffman, con la sconfitta totale di 007.
Non importa quanto grande sia la stella, Anche Federico Fellini si è concesso ad una banca con Anna Falchi e Paolo Villaggio, anche Wong Kar-Wai si è appisolato all’ombra di una macchina, nell’ambizioso progetto di BMW, The Hire, che tra gli altri ha coinvolto John Frankenheimer, Ang Lee, John Woo e Tony Scott. E che dire del povero Sylvester Stallone, protagonista di uno spot che è la parodia della parodia di se stesso, Bubi. La gran signora, quando deve dare, da’, senza freni. Tanto da riesumare dalla tomba Marlon Brando, riciclato postumo come una lattina che diventa il mattone di una casa. E tutte le statuarie attrici che usano il loro corpo come altare per gioielli e occhiali scuri?
Niente panico.
Niente rabbia.
Questa è la gran signora, il cinema, c’è sempre un prezzo da pagare per ammirarla. E così, quando le sue stelle brillano nel cielo, non serve a niente chiedersi dove siano, le coordinate stellari si sostituiscono con quelle bancarie, perché se volete farvi una sveltina con lei, più che dove, la parola magica diventa: quanto?
L.
Questo pezzo l’ho scritto come cappello introduttivo alla trasmissione radiofonica che si occupa di cinema, Cinemex, che va in onda su RadioVillageNetwork
E’ dura, perché la vita non fa sconti. Soprattutto quando porti il peso del ruolo principale, quando sei il protagonista e la pagnotta ha un prezzo sempre troppo alto. A volte te la godi, ti fai quattro risate, ti capita anche di rimorchiare, ma per lo più è una lunga corsa dove tutto quello che ti può accadere, accade. La ruota del fato gira e tu sei sempre il tacchino nel giorno del ringraziamento. Ma che vuoi farci? Questa è fiction, e nella fiction al protagonista deve incessantemente accadere qualcosa perché possa raccogliere applausi e ortaggi dal suo pubblico. E proprio dopo tutta la fatica, dopo il sudore, dopo la sfortuna e la fortuna e tutto quello che gli sceneggiatori ti hanno caricato sulle spalle, ecco che il riflettore del successo si accende come un caldo raggio di sole, questo è amore baby, ma non fa in tempo ad accarezzarti che entra in scena lui, il Fonzie, e con un sorriso e una alzata di pollici si prende tutto quello che c’è da prendere: applausi, ortaggi, e il bacio del destino senza versare nemmeno una goccia di sudore.
E’ dura, è così che va la vita, comparsa o protagonista ha poca importanza, perché quando arriva il Fonzie la scena è tutta sua. Gli basta poco per incendiare i cuori. Possono essere i due pollici ipertrofici di Arthur Herbert Fonzarelli, o la risata fastidiosa di Karen Walker in Will & Grace, oppure i modi strampalati di Jack Sparrow ne “ Pirati dei caraibi”, o ancora le infinite volgarità di Randal in Clerks, ma quando la sindrome di Fonzie colpisce, non c’è capitano Kirk che tenga, avrai anche il comando della nave, James, ma i followers sono tutti su Vulcano. Agitarsi non serve a nulla, è come con le sabbie mobili, muoversi può solo peggiorare la situazione. E così il protagonista diventa un Re di pezza, un fantoccio che rimane in vita alimentato dall’energia sprigionata dalla spalla in seconda. Cosa sarebbe How I Met Your Mother senza Barnabus “Barney” Stinson? Quanto ci avrebbero messo i ragazzi di Big Bang Theory a fare solo Biiiig Baaaag senza Sheldon Lee Cooper? Quante mazzate sarebbero toccate al povero Calabrone Verde senza il suo fido Kato? Il Fonzie è il brivido che ti fa fare un’ora di fila per trenta secondi di montagne russe, è il bigliettino che ti fa ingollare quegli orrendi biscotti della fortuna al ristorante cinese, è la cameriera carina che ti fa tornare a bere quel caffè amaro come la morte e costoso come la vita in quel bar a trenta chilometri da casa tua.
Ma nonostante questo è dura, anche se sei un Fonzie. Perché se Wolverine, Hannibal Lecter, e Jack Sparrow ce l’hanno fatta, togliersi quel giubbotto di pelle o levarsi quelle orecchie a punta può diventare un’impresa alla missione impossibile. Come per Henry Franklin Winkle, che oltre a interpretare Fonzie e il preside della scuola di Scream, si è ritrovato a girare “Un piedipiatti e mezzo” con Burt Reynolds e un paio di puntate di “Sabrina vita da strega”, a discapito del povero Ricky Cunningham, che Fonzie non era, e che invece ha firmato pellicole come Splash una sirenetta a Manhattan, Cocoon, Cuori ribelli, Apollo 13, A Beautiful Mind, Willow, Il codice Da Vinci e Angeli e demoni, tanto per dirne un paio.
E allora fai, Fonzie, a danno di tutta la fatica, le disgrazie, le intricate vicende che hanno trascinato come una corda il protagonista prenditi tutta la scena, tutto il clamore, tutto quello che puoi, perché l’amore che il pubblico ti rovescerà addosso si trasformerà presto in bollente ambra trasparente, pronta a fossilizzarti come la zanza di Jurassic Parck, una supposta trasparente verso il futuro. Fonzie si nasce, ma soprattutto, da Fonzie si muore.
L.
Questo pezzo l’ho scritto come cappello introduttivo alla trasmissione radiofonica che si occupa di cinema, Cinemex, che va in onda su RadioVillageNetwork