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Il Bar al confine dell’Universo

17 sabato Nov 2018

Posted by sognocrudele in amici, autunno, dabbenaggini, donne, futuro, nanetti, nemici, odio, riflessioni, riflessioni a perdere, ritratti a parole, satira, sogni, sognocrudele, Uncategorized

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alain delon, amore, bar, bontà, cuore d'oro, degrado, iggy pop


N
el posto in cui abito ci sono tre tipi di bar in cui è possibile fare colazione:

1 – le pasticcerie per milionari.

2 – i bar dei tagliagole.

3 – le lande dimenticate da Dio.

In una landa dimenticata da Dio, c’era questa ragazza fuori corso: codini alla Harley Quinn, volto da Iggy Pop, voce da bambina. Se ne stava in un angolo a civettare con un uomo forgiato dal fuoco dei cliché sugli italiani e dal martello dell’arroganza.
Un Alain Delon masticato dal degrado e dalla sciatteria; nove di domenica mattina, vino bianco. Il modo migliore di santificare le feste.
Lui con la voce ci prova, ma con le parole disprezza.
Ora, dovete capire che nelle lande dimenticate da Dio, non c’è la radio, non c’è il cicaleccio degli altri clienti, non ci sono le risate dei bambini. Il bar è silenzioso come un cimitero in ottobre. Quei due erano la radio, erano gli altri clienti, erano le risate dei bambini.
Punzecchiata sul vivo, lei, Harley Quinn/Iggy Pop, alza le mani e dice:
Io sono piena di qualità
– Sono brava
– Sono bella
– Sono frizzante
– Sono intelligente
– Sono divertente
– Sono modesta (questo l’ho aggiunto io)
– Sono ESIBIZIONISTA (ho sempre creduto che questa qualità fosse esigibile solo in un film porno, ma forse è colpa mia e del mio pregiudizio, poiché adoro il mistero e il mistero è spesso l’opposto dell’esibizione)
– Ma soprattutto, sono BUONA, SENSIBILE, HO UN CUORE D’ORO.
A questo punto Alain Degrado si allontana, il suo cellulare strilla ed è la moglie.
Il barista allunga uno sguardo complice alla Harley Quinn/Iggy Pop, ed azzarda un
– ve la intendete voi due, sembrate affiatati –
E lei, Iggy Quinn, risponde
– Ma chi? Alain Degrado? Quello è solo un povero stronzo. –
La bontà me la ricordo diversa ma il cuore d’oro ha sempre funzionato così: è caldo negli occhi ma freddo quando lo stringi tra le mani.

L.

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Per leggere un paio di racconti:

É andata via l’estate

Non è amore

Se volete leggere qualche recensione dei Mendicanti su internet, le trovate qui:
Twinsbookslovers
Goodreads
La Kate dei libri
Liberamente

Pensieri sparsi.

31 mercoledì Mag 2017

Posted by Vera Q. in 2017 A.D., amazon, amici, autunno, comunicazioni, critica, dabbenaggini, disclaimer, donne, ebook, Il patto, Io sono morto, L'Altro, La bestia, La croce, La scatola di cioccolatini di Silvia (e di altre crudeltà), la vecchia regola, Life, malinconia, nemici, odio, passato, passioni, presenta, racconti, riflessioni, riflessioni a perdere, romanzi, satira, scrittura, sogni, sogni a perdere, Vera Q.

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Il mio Regno.

Pochi passi, in disparte.
E mi riconosco nelle salite – senza prendere appunti per l’Aldilà – ché dalle discese imparo poco.
Che cosa difficile l’Esistenza: miliardi di miei simili e nulla da spartire con nessuno di loro.
E morirò nella superba convinzione d’esser unica. E di conseguenza sola. Ed è questa la Verità che rende tutti uguali.

Vera Q.
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Vita da Q.

Oggi, il parcheggiatore di carrelli della spesa ha voluto regalarmi, per forza, un braccialetto.
«Siamo amici.» Ha detto.
Lo so, siamo amici. Però io detesto i braccialetti.
Così, ho tentato di dissuaderlo. Principalmente perché lui, quei braccialetti, li vende.
Ma mi ha guardata in viso, serissimo: «Prendilo, ha il colore dei tuoi occhi.»
Il braccialetto è nero.
Io ho gli occhi azzurri.
E non so se costui ci veda malissimo o fin troppo bene. Difatti l’ho preso.

Vera Q.
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Sudario.

Mai veramente adulta mi separo da me. Ed insegno ai miei demoni la virtù del riciclo. Sono abituata all’imperfetto e morirò sfinita, seduta sui miei perché. Mentre tu sarai alla mia destra, lontano dal cuore.

Vera Q.

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Pentole e coperchi.

31 mercoledì Mag 2017

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Non scrivo per dire qualcosa a te. Caso mai, quel qualcosa, lo sto dicendo a me. Perché voglio ricordare, e ricordarmi, soprattutto nei giorni di sole – dove le ombre sono più nere – ed io ho così sete da bermi persino le tue fandonie.

Vera Q.

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La regola.

31 mercoledì Mag 2017

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A metà del qualunque cosa sia subentra l’usura dell’arrivo. Invincibile nemico, per me sempre in esilio. Così, nascosta la mano, getto un sasso nella palude del Dopo e tutto sfugge tra l’impotenza e il dubbio.
E riesumo i vecchi errori, e scomodo i cattivi pensieri. Ma al mio Abito Nero, di questo, non gliene importa nulla: sbaglierò già vestita a lutto.

Vera Q.

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Appunti.

19 venerdì Mag 2017

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Io sono qui. Castigo o ricompensa. – Ma questo, per me, è irrilevante –
E sono stata creata scontenta per spaccare le pietre con una piuma.
E vivo tra le parole: a destra le non dette, a sinistra le mal dette.
Per cui non appoggiarti a me. Per natura vado a capo e comincio quando tutto finisce.

Vera Q.

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10 Maggio 2017.

11 giovedì Mag 2017

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La Nera Signora correva: le ossa, schiocchi e schianti, cantavano metalliche alla Luna la loro fretta.
E la Morte correva. Grandi falcate. Le orbite cave piazzate sul letto di foglie. Frusciava il sentiero, frusciava il mantello.
La falce, mai assente, frattanto, graffiava la terra. Orridi solchi infetti dai quali lunghi virgulti di Buio fiorivano.
«Madame, abbiamo soltanto altri cinque minuti.» Precisò il corvo che, ben saldo, le artigliava la spalla.
Ma l’Eterna correva. E scollinava, e macinava foreste, e guadava fiumi. E non lo degnò di alcuna attenzione.
«Madame, mi duole essere saccente, tuttavia restano appena trenta secondi.» Aggiunse il pennuto.
«Non inizieranno senza di me!» Ruggì l’Oscura.
«Lo hanno appena fatto, Madame.»
Sicché, con un ultimo slancio, la Morte si portò al centro della radura dove una ragazzetta ed un vecchio discutevano saldati su seggiole da campeggio.
«Beh?» Sbottò la Tenebrosa e prese posto.
«Beh, lo dovrei dire io» il vecchio schioccò la lingua sul palato «sei in ritardo.»
«Io non sono mai in ritardo, Dio. Né prima, né dopo. Io sono nell’istante preciso!» E Madame spalancò le braccia. E il pennuto spalancò le ali.
«Ahhh…» la Vita, scolpita nel visetto minuto d’adolescente, alzò gli occhi al cielo «quanto sei pesante e teatrale!»
«Vita rinuncia, con me non ti conviene, prendi per il culo qualcun’altro…» canticchiò di rimando la Scarna.
«Vecchia, canzone vecchia. E trita. Non hai altre munizioni in canna?» Miagolò la giovane, viperina.
«Ragazze…» Dio, canuto e vestito di iuta, le ammonì bonario.
«Guarda che ha iniziato lei!» Le due protestarono in coro. Mocciose.
«Pensavo ad un’eruzione.» Proseguì Dio, fin troppo abituato ai battibecchi tra le sorelle.
«Tipo Krakatoa?» La Vita aggrottò la fronte.
«Esatto, qualcosa del genere.» E Dio si accese un cubano.
«Etna o Vesuvio? Non facciamo il solito vulcano nel nulla che non c’è gusto, eh.» La Morte picchiettava con le falangi sul manico della falce. Golosa.
«No! Vesuvio, no!» Intervenne la Vita «la pizza napoletana è patrimonio dell’umanità.»
«E allora mettiamoci a fare preferenze! Ci riuniamo il dieci di ogni mese per pianificare il giorno successivo, ti pare che ci sia il tempo per parteggiare?» Protestò la Vedova.
«Nah…» l’Altissimo sbatacchiò le palpebre «veramente ero orientato verso un evento spettacolare, unico. Molto più d’impatto rispetto all’undici settembre 2001.»
«Parco americano di Yellowstone!» Urlò la Morte. Echi graziati, furiosi. E dall’alto, uno stormo di anatre cadde a terra. Stecchito.
«E fa’ più piano, Cristo!» Disse la Vita e scosse, seccata, i boccoli color grano.
«Ehi, calma con le parole!» Reagì Dio. Un tuono roboante.
«Ma è colpa sua! Lo vedi che me le leva di bocca!» E Riccioli d’Oro si rabbuiò. Subito.
«Comunque, sì» il vecchio prese una feroce boccata dal sigaro «Yellowstone. Tutti d’accordo?»
E la Morte alzò il pollice scheletrico. E la Vita assentì di gola.
«Io scateno il panico, attivo l’odio, appronto l’egoismo e nutro lo sciacallaggio.» La Luttuosa stilò il proprio elenco.
«Io mobilito l’amore, dispiego la solidarietà e raduno l’abnegazione.» E la Senza Età compilò il suo.
«Come siete messe domani?»
«Ho giusto quindici minuti liberi da vagiti tra le 16:30 e le 16:45, bastano?» Rispose la Vita. «Impossibile, a quell’ora ho un terremoto.» Obiettò la Nera.
«Io mi sgancio quando voglio, siete voi quelle super impegnate.» Dio annegò lo scherno nella folta barba.
«20:25 – 20:33? Otto minuti, però.» Seguitò la Vita.
«20:25. Otto minuti, posso farcela.» Asserì la Morte.
«E sia.» Decretò Dio.
«Chi passa a prendere Vera?» La Mietitrice misurò i compari.
«Ah, non io. Nei giorni passati mi ha dato del misogino.» E l’Onnipotente si fece da parte.
«Non pensarci neppure, mi detesta da quando è nata.» E la Madre Bambina non fu da meno.
«Un momento, domani c’è la prima di Alien Covenant?» La Morte si tolse il cappuccio.
«Sì, e con ciò?» E Dio la fissò.
«Hai idea? Sono anni che attende l’uscita di questo film. Sai che due palle se se lo perde? Paginate di invettive su di me, su di te, su di lei.» E disegnò il trio indicando ciascun componente con la lama della falce. «E chi la regge!»
«Signore belle, fatemi capire, siamo succubi di una scribacchina?»
«Tu l’hai creata!» esclamò la Vita.
«Ma tu, pavida, la tieni in vita, Vita.» E Dio la fulminò con un’occhiata.
«Non è certo compito mio quello, io mi limito a renderle l’esistenza impossibile!» Puntualizzò l’Eterna Fanciulla.
«Non guardate me, io procrastino finché posso, non la voglio tra i piedi, mi mette addosso una tale depressione.» Concluse la Morte.
«Quindi?» Stronfiò Dio.
«Quindi, si rimanda. O hai altre soluzioni, Mister Architetto del Mondo?»
«Dieci giugno, stesso posto, stesso orario.» Borbottò Dio, spazientito. E scomparve in un turbine di luce. E con lui la sedia.
«Come se ci fosse scelta.» Masticò la Vita, asciutta. E si dissolse in un turbine di fiori. E con lei la sedia.
«Ed auguriamoci che per allora non abbia il ciclo.» Sputò la Morte, irritata. E svanì in un turbine di ossa. E con lei la sedia.

Vera Q.

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Nessuna cosa è bella.

24 lunedì Apr 2017

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Mi segui, paziente. Ma nella mia immaginazione non c’è posto per Dio, e i tuoi errori – indomabili per numero, e che promettono il Paradiso – mi risparmiano lo strazio di volerti bene.
Così, tiepida, e all’ottimo prezzo del Niente, ti porto con me a stanare Mostri fino a quando capirai che il più crudele di tutti ti sta tenendo per mano.

Vera Q.

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Fiabe moderne.

06 giovedì Apr 2017

Posted by Vera Q. in 2017 A.D., amazon, amici, autunno, comunicazioni, critica, dabbenaggini, disclaimer, donne, ebook, Il patto, Io sono morto, L'Altro, La bestia, La croce, La scatola di cioccolatini di Silvia (e di altre crudeltà), Life, malinconia, nemici, odio, passato, passioni, presenta, racconti, riflessioni, riflessioni a perdere, ritratti a parole, romanzi, satira, scrittura, sogni, sogni a perdere, Vera Q.

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Quando A. rientrò a casa, la luce oltre la soglia mormorò un click a mezza bocca. La lampadina, di fatto, esplose in un tremulo baleno giallastro per poi assopirsi in un sonno nerissimo.
«Faretto del cazzo.» Biascicò A., frattanto la mano destra affondava nella patta dei calzoni.
B., rubata all’immaginario di Goya, era appollaiata sul divano antistante all’uscio. Il viso cinerino, puntato al tepore televisivo, virava all’indaco ed A. si lasciò guidare dal Grande Fratello per traghettarsi dopo l’ingresso.
«Sono tornato.» Scandì perentorio.
«Io non sono mai andata via.» Rispose B., laconica, ed impastò l’aria viziata con la tempesta.
Di sbieco, un ficus in attesa di eutanasia li osservava severo.
«Sei ancora arrabbiata.» Siglò A. che, alzate le spalle, e sganciato il giaccone sulla poltrona, proseguì la marziale cavalcata verso la cucina.
La discussione era iniziata sul fare del giorno. Tiepido zefiro, un’inezia. Ed era avvampata dopo il caffellatte, e si era accalorata in tarda mattinata, e bruciava, e fumava. Finché sul rintocco delle quattordici era scoppiata. Deflagrando. Verbosa.
A. voleva una bambina, B. voleva un bambino.
Ed A. protestava e B. ribatteva. E B. si lagnava ed A. insisteva.
Ed alle 14:22, esaurite le ragioni di entrambi, B., furiosa, agguantò il sofà, A., furioso, agguantò la porta. Separazione d’obbligo. Ed il tramonto, maestro di romanticismo, li aveva appena ricongiunti. E con esso, la fame. Malia ben più forte dell’amore.
«Quindi?» Berciò A. seduto a tavola. Picchiettava con la forchetta sulle stoviglie. Le dita tozze, le unghie luride. Gincanava dal bicchiere al piatto, impaziente. TIN! TIN! TON!
«Quindi ho fatto di testa mia.» B. comparve sullo stipite della porta. Le gambe lunghe di ragno. Molleggiata, raggiunse i fornelli dove una pignatta color pece sobbolliva.
«Tu mangi?» Seguitò petulante. Il cucchiaio di legno s’inabissò nella melma lavica. Dal tegame, un pungente odore di spezzatino piombava la stanza. Una cappa grassa. Oleosa.
«Tu mangi?» A. canzonò B. e B. lo colpì con una gomitata al capo.
«Avanti, com’è?» Seguitò B. E la scodella di A., in quel mentre, iniziò a tracimare. Tre mestolate, un tripudio.
«Direi infuocato.» A. sorrise.
«Ho cambiato ricetta, per te», sottolineò B. pungente, «soltanto per te.»
A. si riempì la bocca. Grumi di sugo ad adornare lunga barba. E macchie sul bavero, tutt’altro che lindo.
«In epf-fetti la-h carne è davve-roh tenerah» esondò sputacchiando lapilli «bollente, ma p-tenerah.»
«Ah!Ah! Frollata e marinata. Giorni di lavoro, tesoro, zitta zitta.» B. si accomodò alla mensa senza nascondere una certa soddisfazione per l’ottimo lavoro svolto. E sciolse i capelli. Una matassa di colla informe.
Ed A. s’ingozzò. Ancora.
«Pollicino.» Disse la cuoca. E spalancò le fauci. Una fila di denti aguzzi. Aghi. Spilli. Lo Squalo.
«Eh?» A. la guardò appena, intento a versarsi del vino.
«Si chiamava Pollicino», B. soffiò sullo stufato, «un garzone, quello che ci ha consegnato il nuovo router la settimana scorsa. Capisci perché stamani mi sono così arrabbiata? Volevo che fosse una serata speciale e tu, tu blateravi di bambine! Ho fatto tutto alla chetichella per farti una sorpresa.» La voce rotta. Un pigolio, pio pio. Attrice consumata.
«Amore, scusami. Sono proprio un orco» gorgogliò A., languido.
E mangiava, e tracannava, e si lordava.
«E questa? Che cosa diamine è? Un’oliva?» A. afferrò tra pollice ed indice qualcosa di grinzoso, scurissimo. Addirittura bruciato.
«No, sciocchino, è un testicolo, sentirai che prelibatezza.» Cinguettò B., in estasi.
«Per la miseria, sembra burro!» Il ghiottone muggì di pancia.
«Il segreto è la cottura», ed agguantato l’altro testicolo, B. si concesse un piccolo morso. Centellinava la primizia. «Va prima sbollentato, poi passato sulla fiamma ed infine aggiunto alla salsa.»
«Devo ammetterlo, è veramente squisito. Soltanto che io avevo adocchiato una certa Alice, tutto qui.»
«Ma Alice chi? La fattona del Paese delle Meraviglie?»
«Fattona?» A., stupito, si lasciò andare in un rutto liberatorio.
«Ma scherzi? Lo sanno tutti che fa uso di stupefacenti. Carnaccia corrotta!» E B. atteggiò la boccuccia in una piega schifata. «Al massimo la piccola fiammiferaia, benché magrina.»
La sera, intanto, aveva sgranato le palpebre. E il piccolo appartamento di periferia si era tinto di brunito, pronto per il Riposo del Giusto.
«Suonano», garrì B. E non mosse un solo muscolo. «Vai tu, caro?»
«Ma chi cazzo è che rompe i coglioni a quest’ora?» A. si alzò dalla sedia con la flemma tipica dei vecchi. «Non sarà mica tua madre,vero?»
«Beh? Ed anche se fosse?» B. sprofondò nella ciotola di ceramica, avida. Ed A. si sottomise alla scocciatura.
Sicché sfilò svogliato all’entrata, borbottava. Pietre che rotolano. E spalancò il battente con malagrazia. Al di là, sul pianerottolo, uno spicchio di Paradiso. L’Epifania.
«Buonasera signore, io sono il Piccolo Principe.» Tintinnò un cosetto vestito di tutto punto.
«Ed io mi chiamo Peter Pan.» S’accodò il secondo moccioso paludato di verde.
«Siamo venuti a portare la parola di Geova!» Trillarono in coro.
A. si sciolse in un ghigno sghembo. Gli occhi porcini scandagliavano i pargoli. Smaniosi. Acquolina.
«Entrate bambini», ciangottò. La gorgia vibrava. Un suono profondissimo. «Ho appena scoperto d’avere una passione sfrenata per le olive.»

“Le fiabe non insegnano ai bambini che i draghi esistono, loro lo sanno già che esistono. Le fiabe insegnano ai bambini che i draghi possono essere sconfitti.”
Ma no, non nelle mie storie.

Vera Q.

00:51

12 domenica Mar 2017

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In questa sera quieta potrei addirittura amarmi per come sono.
Ma il mio Demone conosce la sottile arte d’impedirmelo e non ha mai nostalgia di casa.

Vera Q.

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D’accordo con me.

10 venerdì Mar 2017

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In cima al Lontanissimo c’è la mia testa. Vuota.
Ed anche da quassù è insopportabile aspettare il domani, se non si vuole lasciare traccia.
Così, assemblo pezzi di verità senza ottenere mai l’intero. Ma quando riesci a gestire lo Stige, una cosa vale l’altra. Persino vendere sentimenti.

Vera Q.

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